• CASA&GIARDINO N.1/2005
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CASA&GIARDINO N.1/2005

2005

Progetto pubblicato di M.Pomini con testo di Fabio Carria

CASA & GIARDINO  Gennaio  2005  – pag.47-60

NUOVA CASA & GIARDINO SRL

Ristrutturazione cascina a Castelnovetto (PV)

VIVERE IN CASCINA                        

“LA FILANDA” UNA RUSTICA CASCINA TRASFORMATA IN AFFASCINANTE DIMORA

Fino quasi la metà dell’800 la cascina a corte chiusa era quella più diffusa,  specialmente nella “Bassa” pianura (cioè quella a sud di Milano), perché era la più adatta alla disposizione organica degli ambienti produttivi ed il controllo sociale .

Normalmente posizionata al di fuori del nucleo abitato, gli edifici erano disposti attorno ad una grande aia per la lavorazione del riso o delle granaglie a cui si accedeva da un grande portone.

Gli edifici erano suddivisi in : abitazioni dei contadini  salariati fissi e quelli stagionali lungo un lato della corte, le stalle per le mucche da latte  e quelle dei cavalli dotate sempre di portici che venivano adibiti come stalla estiva , i locali  per la produzione, la conservazione e la stagionatura dei formaggi.

Nell’originaria struttura monoaziendale, attrezzata come un centro autosufficiente, vi era anche un altro gruppo di locali che erano riservati al fabbro e al falegname. Normalmente gli alloggi dei lavoranti risultavano disposti su due piani, con un locale cucina con camino al piano terreno, luogo della vita familiare, e un’ unica camera da letto al primo piano, indipendentemente dal numero dei componenti della famiglia.

Immancabile era anche la “giascèra” , cioè una fossa molto profonda coperta da uno spesso tetto di paglia di riso  dove all’interno si manteneva il ghiaccio che veniva ricavato da un campo allagato in pieno inverno e quindi ghiacciato, il ghiaccio adagiato su delle fascine veniva conservato per essere utilizzato fino in estate.

L’arrivo alla Filanda ricorda qualcosa di magico. Una roggia lambisce la strada che conduce ad un ponte a due archi in muratura, l’unico esistente sul canale  da cui si accede all’ingresso della cascina.

Da subito si intuiscono le sue origini seicentesche (di proprietà dei conti Gallarati, deiSabaino[1] e dei  Panizzari) e l’attuale proprietario, innamorato della Lomellina e di Milano, ne ha recuperato sapientemente tutte le sue caratteristiche con un recupero storico e conservativo.

Un progetto di restauro fondato sull’assoluto rispetto di quell’aspetto rustico della cascina Lombarda che tanto l’aveva fatto innamorare a prima vista quando l’aveva scovata circondata dalle risaie, senza luce e senza comodità. “E’ stato un colpo di fulmine. L’ho amata appena l’ho vista,  nonostante le sue condizioni pericolanti, perché ne ho intuito subito tutte le sue potenzialità” racconta il proprietario.

L’intervento di restauro conservativo  è stato di notevole portata in quanto ha dovuto principalmente confrontarsi con le alterazioni che la struttura originaria aveva subito negli ultimi cinquant’anni per il continuo adeguamento alle necessità agricole. Tra  gli interventi più impegnativi si segnalano: il recupero totale delle quote originarie dei fabbricati che hanno permesso il recupero integrale degli originari archi ritrovati sotto il granaio, il cui piano di costruzione è inferiore all’attuale letto del canale,  il recupero delle orditure originali delle coperture, il completamento della tessitura murale in mattoni fatti a mano che ha comportato l’utilizzazione di circa 20.000 mattoni recuperati dalle demolizioni delle sovrastrutture e da sedimi della zona, il ripristino delle dimensioni originali dell’aia e degli edifici circostanti. Una scrupolosa  pulitura di tutti i materiali esistenti, del consolidamento e  ricostruzione delle parti rimosse perché realizzate con materiali non idonei a  preservarne la conservazione, accorgimenti contro l’umidità di risalita ed adeguamento impiantistico sono stati gli altri interventi irrinunciabili che hanno completato il lavoro di conservazione effettuato .

Per comprendere pienamente l’intervento effettuato è opportuno spendere alcune righe sul ruolo assunto dal mattone nella costruzione dei fabbricati rurali. In queste costruzioni il mattone è molto diverso da quello utilizzato negli altri edifici perché è più povero. Veniva  prodotto sempre manualmente impastando e comprimendo la terra creta in uno stampo, asportandone l’eccedenza, e levigando la superficie superiore unicamente a mano. Proprio per questa loro caratteristica i mattoni antichi sono facilmente distinguibili  perché non hanno la superficie perfettamente liscia, come quelli più moderni prodotti a stampo, e si riconoscono  i segni lasciati dalla lavorazione manuale dell’operaio. Di norma il mattone veniva preparato con una cottura al fuoco di legna in una buca o in una fornace, e lo stampo, nelle condizioni più povere, veniva sempre essiccato al sole. Attraverso la cottura si conferivano precise caratteristiche di resistenza e di colorazione al mattone che veniva chiamato: “bruciatino” ,quello annerito perchè vicinissimo alla brace, duro come l’acciaio; “mezzanella” , quello poco cotto perché il più lontano dalla brace, di colorazione rosata; infine “pietra”, quello cotto alla giusta distanza che rappresentava il mattone vero e proprio, chiamato così perché in Lomellina dove il terreno argilloso è piatto e sabbioso, le pietre sono assenti.

Nelle costruzioni rurali i mattoni venivano allettati con un impasto di sola argilla mentre in quelle meno povere,con finitura più curata,  si utilizzava un impasto di argilla e calce. La linea guida delle fughe e l’uniformità di spessore tra un mattone e l’altro si otteneva esercitando una pressione sul mattone fino a quando l’impasto fuoriusciva dalle fessure e veniva pareggiato con un asticella particolare. La stilatura dei giunti veniva fatta con il dito dell’operaio incavando leggermente l’impasto della fuga. In genere nelle strutture rurali si utilizzava l’intonaco soltanto sul lato interno della costruzione, cioè quello abitato, per ragioni essenzialmente economiche e di protezione, ma anche per consentire l’adeguata areazione del muro. Quest’ultimo aspetto infatti, cioè quello della traspirazione del muro,  non veniva mai sottovalutato perché le murature perimetrali erano quasi sempre costruite con poca fondazione e l’acqua era spesso sorgiva all’interno delle abitazioni infracidendo la parte bassa delle  pareti. Anche la disposizione dei mattoni sul muro aveva un suo preciso significato:  i mattoni di fascia sono sempre quelli nuovi, perché  indicavano una certa importanza del muro, mentre quelli di punta provenivano dai recuperi di mezzi mattoni di costruzioni precedenti. In questo intervento è stato recuperato l’originario paramento esterno attraverso una ricucitura attenta e puntuale di tutte le murature con sostituzione degli elementi ritenuti inadatti e poco affidabili con mattoni provenienti dalle demolizioni delle sovrastrutture esistenti.

Il progetto di recupero ruota attorno alla creazione di un allargato sistema di portici che lega lo spazio interno a quello dell’aia centrale ed allo stesso tempo munisce l’abitazione di un esteso e versatile corredo di spazi protetti per la vita all’aperto. E’ il caso del recupero del vecchio granaio. Nel corso dei secoli, per evitare i sortumi[2], la base del granaio è stata colmata di sabbia e detriti sino al piano naturale del vicino canale . Il suo totale svuotamento è stato realizzato manualmente con assidue e ripetute verifiche delle condizioni murarie mentre la continua acqua sorgiva ed il fango viscoso rendevano più difficoltoso il recupero. A svuotamento ultimato, raggiunte le basi dei pilastri delle arcate, si è proceduto alla rimozione del terreno sul fronte dell’edificio per mettere a nudo il muro all’esterno ed evidenziare gli archi che sono stati ritrovati e riaperti come allo stato originale. Si è poi proceduto alla rimozione dei muri di tamponamento (che erano stati realizzati per ottenere delle porcilaie) con estrema cautela e costanti verifiche della capacità di portata degli stessi archi perché essendo stati immersi nell’acqua per centinaia di anni con mattoni legati da semplice calce, si dubitava della loro effettiva resistenza. Il risultato finale è stato sorprendente, neppure una crepa o un cedimento. Per eliminare i sortumi sono stati installati dei tubi traforati nei quali convogliare l’acqua ad una vasca di raccolta e ad una pompa aspirante al di sotto del piano della nuova pavimentazione in pietra. In questa casa il legame con il canale è molto stretto anche perché quando tutt’attorno non c’era nulla , nella calura estiva , tipica del clima lombardo, il bagno si faceva proprio nel canale.

 

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[1] Carlo Sabajno, 1870-1935, fu il direttore dell’orchestra della Scala di Milano

 

[2] Acqua spontanea che sorge dal sottosuolo sino a raggiungere il livello del vicino canale